CALORE VINTAGE

Vintage.

Questa parola è ormai parte del nostro vocabolario corrente.

Nell’arco di alcuni anni siamo stati un po’ tutti influenzati da questa nuova tendenza.

Chi di noi non possiede almeno un oggetto, una semplicissima scatola, un capo d’abbigliamento, o un piccolo accessorio che rimanda al concetto di “Vintage”?

In effetti questa tendenza ha preso piede in diversi campi e ci viene proposta in tutte le salse: dalle mode dell’abbigliamento alle riviste di arredamento, dove spiccano tagli, tonalità, fantasie e oggetti che evocano questo senso di passato. La troviamo nel campo musicale con il glorioso ritorno del giradischi e il rinnovato culto dei vinili. L’abbiamo inconsciamente sotto gli occhi nelle pubblicità che ogni giorno riempiono i nostri schermi. O ancora la troviamo per le strade, nei font utilizzati per marchi e insegne che richiamano caratteri di scrittura dal tipico sapore di passato.

Assodato che siamo circondati dal fenomeno vintage, la mia domanda è questa: perché in quest’epoca di progresso, di continue scoperte, di tecnologia, di velocità e fruibilità di tutto, cerchiamo ancora un collegamento con il passato?

Il passato, si sa, è un porto sicuro in cui potersi rifugiare. Lo conosciamo, nel bene e nel male, lo abbiamo vissuto e sappiamo cosa aspettarci perché non riserva più sorprese, è quella zona dove possiamo adagiarci e metterci tranquilli. Almeno per un po’.

Al di là della moda, gli oggetti vintage probabilmente svolgono anche questo ruolo: in essi respiriamo un senso di calore, richiamano nel nostro immaginario epoche lontane, epoche in cui le tradizioni e i valori facevano da portavoce.

Se pensiamo al passato proviamo un sentimento di appartenenza ad una comunità in cui c’era spirito di condivisione, solidarietà e scambio. Una società che nutriva profondo rispetto per il valore delle cose, che donava importanza ai pochi oggetti posseduti, al modo di conservarli, di trattarli e di ripararli in caso di malfunzionamento. Avere cura di ciò che si aveva era fondamentale. Il desiderio, l’attesa, le rinunce per permettersi di realizzare il sogno, facevano da contorno alla quotidianità. La possibilità di aggiungere un pezzo di arredo nella propria casa era una conquista.

Nell’era veloce della tecnologia invece l’immediatezza e la funzionalità regnano sovrane.

Ogni oggetto deve svolgere la sua funzione in modo rapido ed efficace senza margine di errore. Non c’è tempo per l’attesa, non possiamo permetterci di riparare, dobbiamo sostituire subito ciò che non funziona o non è più efficiente. Il tempo per applicarci mentalmente per risolvere anomalie e interruzioni non è più contemplato. Fermarsi non è concepito.

Ora gli oggetti devono essere il più possibile minimal, leggeri, sottili, non devono occupare posto più del necessario. Siamo circondati da beni che non sono più simbolo di coesione sociale, di condivisione di uno spazio comune, di creazione di appartenenza. Oggi possediamo oggetti attraverso i quali costruire relazioni virtuali, apparecchiature e sistemi indispensabili senza i quali non sapremmo come altro fare a coltivare relazioni, frequentazioni e professioni.

Quindi, questo rinnovato culto del vintage, potrebbe essere sintomatico di quell’insoddisfazione generale e di quella incessante ricerca verso un qualcosa d’indefinito che caratterizza il tempo in cui viviamo?

Potrebbe riflettere il desiderio inconscio di voler ancora sentirsi parte di una comunità fondata su valori solidali e di sostegno reciproco?

O ancora, l’urgenza che il singolo ha di fermarsi per ascoltarsi e conoscersi, ma che è impossibilitato a fare?

Riflettiamoci su.

Ora chiudete gli occhi. Staccatevi per un secondo dalla realtà che vi circonda, mettete il cellulare silenzioso e allontanatevi per due minuti da tutte le fonti di distrazione da cui siamo circondati. Pensate ad un oggetto vintage, come potrebbe essere una vecchia sedia, un vecchio mobile, una vecchia valigia o anche solo il telefono grigio con la rotella che fino a trent’anni fa possedevamo tutti in casa.

Quali emozioni si muovono dentro di voi?

Elisa

 

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