Ricordo solo che era gennaio 2011, non il giorno preciso, ma sicuramente quel giorno mi rimarrà per sempre impresso dentro.
E’ già tarda mattinata, il sole dell’equatore si fa sentire con tutta la sua forza e il suo calore, ma si decide ugualmente di andare verso il fiume Galana, di percorrere quei pochi chilometri a piedi che lo separano dal villaggio. I bambini sono felicissimi, per loro andare al fiume è una gran festa, un momento di divertimento e di gioia.
Ci incamminiamo lungo il sentiero, prima di strada sterrata, poi improvvisato seguendo una piccola linea creata dal frequente passaggio a piedi in mezzo alla terra e ai cespugli aridi. Siamo circondati da tutti questi bimbi che sorridenti ci seguono e ci accompagnano al fiume: la loro mattina a scuola è terminata ed ora quale miglior divertimento per loro se non un bel bagno nelle sue acque.
Il sole scotta, nonostante io indossi le scarpe posso percepire il calore del terreno, c’è un attimo in cui lo tocco anche con la mano perché voglio avere la certezza che la mia sensazione sia reale: lo è. Subito il mio pensiero allora va a questi bambini che ci stanno accompagnando al fiume, molti di loro sono scalzi, altri indossano ciabatte di gomma… ma dai loro visi traspare solo felicità, i loro occhioni ti coinvolgono in un sorriso. Il calore del terreno, il solo cocente, le sterpaglie su cui camminano rischiando anche di tagliarsi sono fattori che per loro non hanno importanza.
Abbiamo formato una lunga fila che cammina serena, si gioca di sguardi e di gesti, perché la nostra comunicazione verbale è fatta solo di pochissime parole che conosciamo in comune, giusto un po’ di inglese con i bambini più “grandi” e le mie due parole basilari di swahili. Tutto ciò non conta, anzi forse questo rende ancora più magico e vivo il momento, basta sapere i nostri nomi, che loro non fanno altro che ripetere di continuo. Così proseguiamo, circondati da questa marea di bambini colorati, alcuni indossano ancora la sgargiante divisa scolastica, se così si può chiamare, altre bimbe vestitini tipicamente africani creati con pezzi di stoffa variopinta. C’è chi corre avanti e indietro, chi fa a gara per poterti tenere per mano, tant’è che spesso mi ritrovo due o tre manine nere che mi cercano e mi stringono anche solo un dito.
Lungo il percorso viene attirata la mia attenzione: le mie compagne di viaggio indicano dietro di noi una bambina che sta piangendo mentre con passo più lento tenta di seguirci a piedi. Mi volto e le andiamo incontro: questa bambina avrà poco più di un anno e si è unita a noi in questa gita, ma probabilmente la sua tenera età, il caldo, i chilometri da percorrere, la stanno mettendo a dura prova. Mi guardo intorno e non ci sono adulti, siamo solo noi: tantissimi bambini allegri in mezzo a qualche puntino bianco che spicca. Subito prendo questa piccola bimba per mano, rallentiamo un po’ il passo per seguire il suo, cerchiamo di consolarla e farla sentire coinvolta. Non ottenendo grossi risultati capisco che è davvero stanca di camminare e decido di prenderla in braccio. La mia mente in quel momento è pervasa da mille pensieri: io sono ospite di una terra a me sconosciuta, immersa in una cultura che sto imparando a conoscere, ma di cui so poco e niente, in cui non voglio interferire, ma che semplicemente desidero vivere e conoscere. Per un attimo temo che un gesto che per me nasce come spontaneo possa essere travisato.
In realtà mi sbaglio, la mia mente probabilmente è schiava del pensiero che pervade il mondo occidentale, ragiona con troppi se e troppi ma, sull’apparire, mentre qui e ora l’importante è l’istinto, il sentire.
Così continua il nostro cammino, mentre mi tengo appresso su di un fianco questa dolce bambina che mi abbraccia letteralmente con le sue braccia e le sue gambine come fosse un piccolo koala, mi basta un braccio per sostenerla da quanto è attaccata a me. La sensazione che provo non riesco a descriverla a parole, la sento, la vivo e continuo a portarmela dentro. L’importante è che ora si sia tranquillizzata e possiamo proseguire sereni il nostro cammino.
Finalmente in lontananza si scorgono alcuni alberi e capisco dalla crescente eccitazione intorno che siamo arrivati alla nostra destinazione. Non appena ci avviciniamo alla riva vedo le rocce e la terra pieni di vestiti gettati a terra dai bambini che stanno già giocando dentro il fiume, intorno solo natura e le loro voci. In questi minuti che trascorriamo al fiume i bimbi non fanno altro che tuffarsi dai sassi richiamando la nostra attenzione per mettere in mostra la loro abilità, minuti in cui giocano in mezzo all’acqua spruzzandosi l’un l’altro, minuti di gioco infinito. Nel frattempo continuo a guardarmi intorno, cerco di assimilare il più possibile questa atmosfera così nuova e sconosciuta che mi circonda, cerco di respirare a fondo l’aria africana e vivere in pieno questa breve avventura.
D’un tratto la mia attenzione si sposta più in là, verso una riva del fiume lasciata libera dai giochi fragorosi dei bambini e ho la fortuna di assistere ad un’impagabile scena di vita quotidiana: una donna china mentre lava i panni nel fiume. Dietro di lei la figlia, che non avrà avuto più di dieci anni, osserva e studia i movimenti della madre, mentre tiene in braccio e accudisce la sorella più piccola. In quel momento sento solo silenzio intorno a me, immersa come sono in questa scena che per me ha un valore immenso. La realtà che sto osservando è così lontana dal mio mondo e mi incanta e mi affascina enormemente: continuo a guardare con ammirazione e stupore questo bellissimo momento.
Ancora una volta una semplice immagine mi porta a fare una marea di riflessioni su questa cultura così diversa e lontana da quella in cui noi viviamo. Questi pensieri però li conservo dentro, non portano a niente, sono fini a se stessi: le culture non si possono paragonare. Penso solo che le culture si debbano assaporare e rispettare cercando di viverle calandosi per quanto possibile nell’ambiente in cui sono nate e sviluppate.
E’ ora di tornare verso il villaggio, si sta facendo sempre più caldo e la strada del ritorno è lunga. Si riprende il cammino verso casa, sempre circondata dallo stesso gruppetto di bambini e con la piccola che a turno con loro portiamo in braccio.
Quante fotografie ho scattato: il lungo sentiero dell’andata, gli istanti di gioco dentro al fiume, la donna africana intenta a lavare i panni e tanti primi piani sorridenti di bambini bagnati che facevano a gara per farsi immortalare, per poter vedere la loro immagine riprodotta sulla macchina fotografica, motivo di grandi risate. Penso a quanto sarà bello rivederle a distanza di tempo, alle emozioni che a mi susciteranno guardandole, penso anche a quando le potrò mostrare alla mia famiglia e alle persone a me più vicine per poterle far partecipare in modo più tangibile a questa mia esperienza, a ciò che ho visto e vissuto.
Purtroppo però questi pensieri non hanno preso forma: le fotografie sono rimaste nella terra che avevo documentato, insieme alla sua cultura e alla sua gente. Fortunatamente i ricordi, i racconti, le emozioni e gli stati d’animo di quell’intensa e ricca giornata si conservano ancora dentro me.
Elisa
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